sabato 22 novembre 2008

Le notti dell'anima

Certe notti sono anche delle notti dell’anima. E basta poco. Una notizia, una lettera, un ricordo, qualsiasi cosa. Fa paura pensare quanto poco basti, per entrarci.
È notte e tutti dormono, anche quei pochi che potrebbero aiutarti, che potrebbero avvolgerti con le loro parole e la loro, di anima. Non che si possa fare miracoli. Una notte è notte, dentro. Un cuore nero come ali di corvo. Ma certe persone possono lo stesso farti bene. Non guarire la ferita, ma almeno tamponarla. Impedirti che il sangue vada via in un lungo fiume notturno.
Così provi a contattare qualcuno, senza l’intenzione di metterti a raccontare tutta la tua storia. Non c’è bisogno. Sono cose tue, lasciale nel tuo giardino, a prendere sole o a marcire. Ma parlare sì, sfogarsi un po’, come stai raccontami hai poi preso quel lavoro la prossima vacanza. Poco, anche in questo caso basta poco. Ma una ha da fare, una va a correre –non sanno quel che succede, la tua vita si ferma un secondo ma la loro continua, non c’è niente di ingiusto in questo, forse è ingiusto chi ha pensato tutto questo Affare fin dal principio, ma lasciamo perdere- un’altra ha avuto una bella notizia e l’ultima cosa che vuoi è fare il guastafeste col tuo umore a picco nella notte, e allora lasci stare. Sei tu, ancora, e la notte dell’anima.
Un silenzio innaturale, intorno. Il primo istinto sarebbe il bicchiere, ma è solo un momento. Quando ci sei davvero, in quelle notti lì, sai che sarebbe tutto inutile. Peggiorerebbe soltanto. Domani mattina sarebbe un incubo. Una notte dell’anima che non finisce mai.
Allora ti consoli come puoi, con la coscienza, terribile e spietata, che consolazione non esiste, in quei momenti lì. Dopo, a lucido, a freddo, come si dice, forse. Non perchè passa il dolore, ma solo perchè ti inventi dei metodi per far finta che non ci sia. Ci giri intorno. Il dolore, quello non lo cacci via mai. Sempre lì, fino alla prossima notte.
Ognuno ha il suo modo. Io ho le mie parole, queste parole, che un po’ fanno ballare la mia pena e forse le danno un senso per qualche secondo, forse è un canto leggero a me stesso mentre il buio fuori sembra totale e la Terra mi sembra persa in un nero inchiostro che toglie il respiro. forse divide un po’ il dolore, lo espone, lo spiega un poco, e un po’ lo lenisce, perchè il buio fa meno paura quando non si è del tutto soli. Forse è tutto inutile, come il bicchiere.
Espiri, inspiri. Piano. Senza fretta. La notte è sempre lì, a metterti il groppo in gola, a tapparti le orecchie, a toglierti il colore dal viso. Ti pesa sul cuore, una notte così. Non te la sbrighi facilmente. Dio sembra rimasto rinchiuso nelle ore del giorno, e anche il rumore dei grilli scompare.
È notte e scrivo. Forse non serve nè a me nè agli altri, forse non risolve, ma forse aiuta. C’è tutta una notte da passare, prima di poter andare a dormire.
L’anima con gli occhi pesti si siede un attima. Inspira. Espira. Ecco così, piano. Brava. Batto alla tastiera, e lei osserva. Si dimentica, per qualche istante, delle sue ossa fratturate, dei suoi lividi. L’ho catturata, forse solo fino alla fine del rigo, ma è già tanto. Fa male ancora, ma c’è una pausa breve. Nessuno intorno. Tutti dormono. Io sveglio.
Scrivo.

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