martedì 7 ottobre 2008

Sugli artisti e sulle bollette

A quante interviste di lavoro siete stati nella vostra vita? Quante volte vi siete seduti a quella scrivania, con uno stronzo/a dall’altra parte che cerca di capire se siete la persona giusta? Loro che fanno la faccia pensierosa, che sembra quasi che siano sul cesso. Voi, che fate intanto i salti mortali per capire come cazzo si faccia ad essere la persona giusta.
Vestirsi bene, arrivare lì preparati. Cravatta, giacca, vestito. Essere sicuri senza essere arroganti. Energici ma posati. Maturi ma disposti ad imparare ancora. Lui/lei che tiene in mano il tuo curriculum come fosse merda. Tu, che quel curriculum di merda l’hai allungato quanto potevi, l’hai sistemato, magari –spesso- anche inventato.
E tutto per una misera all’ora, ovviamente.
Ti guardano, ti chiedono –sei uno che lavora sodo? Uno a cui PIACE LAVORARE? E tu dici, CERTO!!!!!!!!!!!!!!! (compresi i 40 punti esclamativi).
Quello che pensi è però -ma vaffanculo. A chi cazzo piace lavorare? Certo, qualche pazzo isolato c’è. Ma anche qui bisogna distinguere. Dipende da che lato della scrivania sei seduto in quel momento, a esempio. Un conto è se sei Colui Che Giudica Lo Scopino Di Turno, un conto è se sei Lo Scopino.
Chi mi conosce sa che sono molto estremista in questo. A parte quello che fa Hugh Hefner (qualsiasi cosa sia), tutti i lavori mi stanno sul cazzo. Non mi spiego proprio perchè l’Uomo debba lavorare. Lo so che sta scritto nella Bibbia, lo so che ti rompono le palle da quando hai l’età della ragione (o l’età per cominciare a prenderla in culo ed essere anche grato per questo). Perfino alcuni famosi psicologi e psichiatri sostengono che lavorare rientra nella MISSIONE DI VITA di ognuno.
Ok. Nella mia MISSIONE DI VITA, privata e personale, c’è la volontà di non fare un emerito cazzo per il più lungo tempo possibile. Per me la pigrizia è Filosofia. Il fancazzismo, l’ultima vera Rivoluzione.
No beh, ok, qualcosa che mi piacerebbe fare c’è. Lo so che non è un lavoro, e lo so che scatteranno le risate. Qualcuno però, facendo lo scrittore (ah ah ah ah!), qualche soldino l’ha fatto. L’1% di tutti quelli che scrivono, credo.
E tutti gli altri? Mi sono sempre chiesto com’è la vita di uno scrittore. Cioè, uno vero, ovviamente, mica un fannullone come me. Come faceva questa gente a campare prima di diventare famosa –e, in molti casi, persino DOPO che è diventata famosa? Che entrate aveva, che so, un Orwell, o un Carver?
Molti facevano giornalismo, lo so. Si dicevano, siamo già delle puttane, perchè non fare anche un po’ di anal? Chessarà mai? Così spargevano le loro parole dappertutto. Sembra che quando uno sia scrittore, scriva tutto bene, dal romanzo psicologico all’articolo di cronaca, alla lista della spesa. Davvero, niente scherzi. Alcuni, come il lampadato Baricco, aprono addirittura delle scuole per insegnare a scrivere. Fanno letture. Fanno film. Vanno in televisione. Qui siamo ben oltre l’anal. Mi sa che ci siamo già spinti nel regno dell’orgia.
E tutti gli altri? Boh. La storiella di Bukowski già la sappiamo. Lavoretti del cazzo fino a 50 anni, e poi la botta di culo e il successo. Ma gli scrittori ci arrivano tutti, a 50 anni? E come pagano l’affitto? Come si regolano coi contributi? Donano anche l’8 per mille?
La mia è una visione personale. Probabilmente molti di loro potevano permettersi di cenare in veranda con pesci e bianchi costosi, mentre riflettevano sui Grandi Temi. Me li immagino tutti alla Hemingway, a fare battute di caccia, lunghe passeggiate al tramonto, e poi a casa (una casa ovviamente di proprietà), prendere lunghi respiri artistici mentre si domandano se l’anima esiste o no e come l’Uomo sia sull’orlo del Disastro, mentre la moglie canticchia un motivetto stupidetto e la cameriera sparecchia la tavola.
Ecco perchè la roba che scrive questa gente è pura merda melensa, senza significato. È esattamente come le loro esistenze. Il lampadato ne sa qualcosa.
Con questo non dico che un po’ di moneta faccia male. Anzi. La moneta fa benissimo al cuore a al portafogli del giovane autore. Che cazzo. La birra mica si paga da sola.
Vi dico una cosa: toglietevi dalla mente l’idea dell’Artista Morto Di Fame, chiuso nella sua soffitta, con una candela e un calamaio, che scrive cose sublimi & romantiche & immortali. Non c’è niente d’immortale, primo di tutto il giovane autore. Deve mangiare e bere e andare al bagno e prendere l’autobus e pagare la bolletta come tutti. Può farlo sospirando e sognando, o anche senza. Ma deve farlo.
Tutte cazzate. Ve lo dico io: si scrive meglio con la pancia piena, e senza troppi pensieri al prossimo affitto o al conto dal meccanico. Pensare ai Grandi Temi, all’Universo all’Amore a Dio allo Spazio alla Morte e alla Vita, è difficile quando hai fame. Ci sono 3 bisogni primari, e due sono mangiare e bere.
Anche il terzo comunque giova, al giovane autore.
Ognuno fa come può. Dostoevskji ha scritto i suoi capolavori perchè pressato dai creditori, a cui prometteva romanzi che in realtà non aveva ancora scritto. Il buon Dosto era rimasto fregato dalla sua mania per la roulette e per le ragazze francesi sotto i 25.
Magari se era pieno di soldi, come il lampadato, “Delitto e castigo”, “I fratelli Karamazov” e “Memorie” non li scriveva. Si sarebbe limitato ad andare a mignotte, spendere milioni al casinò e grattarsi il sedere. Magari non si sarebbe mai chiesto le cose che si è chiesto quando era con le spalle al muro. Lui ci avrebbe guadagnato in salute, noi ci avremmo perduto in qualcos’altro.
L’Arte è come il Rock: ti deve partire dallo stomaco.
Sperando sempre che non faccia l’eco.

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