giovedì 16 ottobre 2008

Attività (apparentemente) prive di significato





Tipico giovedì da disoccupato a Sydney –visita su gumtree.com.au e spedizioni della solita decina di curriculum, annunci sul giornale che poi viene buttato nell’angolo, lieve malditesta da doposbronza, una nausea dovuta ai biscotti sottocosto avuti per colazione. Tipico giovedì, come detto. lo stesso mi sentivo inquieto. Qualcosa che non andava. Un po’ di cose, veramente, ma tutte facevano rima con affitto e impegni saltati.
Così, invece di starmene lì a pensare a cosa avrei rimandato prima, ho preso gli occhiali da sole e sono uscito.
Giornata di sole. Ventosa, forse, ma spettacolare lo stesso. La primavera è un’opera d’arte, da queste parti. Nemmeno troppo calda. Perfetta, vi dico.
Insomma, senza sapere dove cazzo andare o perchè, finisco al solito parco vicino casa. È giusto due strade dietro casa mia, ma appena mettete piede nel sentiero, scompare ogni forma di vita umana. Sei nel bush, a un incrocio dalla civiltà.
Cammino piano. Ho paura che i magpie, una specie di corvi di qui, mi becchino la testa. Non cagando, intendo proprio col becco. Lo fanno. Sono incazzosi, i magpie. Senza scherzi.
Arrivo al parco vero e proprio. Dio benedica il giovedì. Ci sono solo io e un pescatore solitario lì sul molo. Mi addentro nella zona più nascosta del parco, sotto un muro di eucalipti, proprio sulla riva del fiume. Mi sembra di essere in uno di quei libri con Huckleberry Finn. Mi manca un’armonica a bocca e una zattera.
Mi stendo sull’erba. Mi sono portato un paio di libri da leggere, Anderson e Kerouac, giusto per avere scelta. Così alla fine scelgo di non leggerne nessuno, e me ne resto lì, semplicemente.
L’aria è fresca ma gradevole. Un paio di tizi su una delle tante barche ancorate lì mettono a posto le esche. Silenzio. Ogni tanto dagli alberi dietro spunta un altro magpie o un ibis e gracchiando mi fanno venire un infarto. Un kookaburra ride all’orizzonte, lì dove ci sono le case dei ricchi, proprio sulla riva. Le guardo, poi torno a fissare il fiume. Piano piano tutti gli impegni, i pensieri, le scadenze, gli appuntamenti, le bollette, le pagine da scrivere, le liste della spesa, le telefonate da fare, i messaggi da mandare, le interviste, le visite, tutto scompare oltre l’orizzonte, lì dove il fiume si tuffa nella baia. dio. Quanto tempo era che non me ne stavo semplicemente così –a quattro di spade, come direbbe una mia amica nana- a guardare il cielo, le nuvole, il fiume, e basta? Senza cercare di tirar fuori chissà che pensieri, chissà che soluzioni? Senza pensare al momento dopo, a quello che c’è da fare?
Tanto, troppo, mi sa. Tutti, in realtà, ne avrebbero bisogno, ma io non sono tutti. Io sono io, e stamattina me ne sono stato con me stesso. Non quella che definirei la compagnia migliore del mondo, ma per una mattina si può anche reggere, lì in riva al fiume.
Poi l’ho vista. C’era questa nuvola enorme. Si stava gonfiando, piano piano, sotto i miei occhi. Diventava sempre più grossa. Era imponente, ma lo stesso sembrava che tutto stesse avvenendo con una certa grazia. Un cielo blu, neve di cotone, un silenzio di dentro, e questa nuvola che si gonfiava. Io, sdraiato sull’erba, la fissavo.
Sembrava la cosa più interessante che avessi mai visto. La mente è cominciata ad andare per conto suo, come sempre in questi casi. Voleva distogliermi da quell’attività apparentemente priva di ogni significato. Non perdere tempo in queste cazzate, mi diceva. E così arrivavano pensieri e immagini –ma confusi, non so. Ho pensato a me da piccolo, a come mi mancavano certe cose di allora. Ho pensato che Obama avrebbe vinto le elezioni. Ho pensato a mio padre. Ho pensato che dopotutto ero fortunato. Ho pensato a quella nausea, e a cosa avrei mangiato per pranzo. Ho pensato che il sesso ne vale la pena. Ho pensato chissà se quel pescatore sul molo sta davvero pescando o sta lì per non aver nessuno a rompergli i coglioni. Ho pensato che mi piacciono i cani. Ho pensato a come a giugno i banchi della mia scuola sembravano lisci e lustri, quando avevo 8 anni. Ho pensato che questo finesettimana mi sarei ubriacato. ho pensato alla mia ex casa a Roma, a quando ci stavo, a quando andavo all’università. Ho pensato che ero in Australia.
Pensieri senza senso, come vedete. Poi, mentre la nuvola si gonfiava ancora, ho realizzato che, in mezzo a tutti questi pensieri, non c’era niente che riguardasse la mancanza di lavoro, o il conto in rosso, o le cose da fare. Allora ho sorriso e guardato la nuvola che ormai era enorme, mi sono pulito dall’erba e mi sono incamminato. Pensavo a tutti gli ingegneri che nel mondo stavano uscendo per andare a pescare, e dottori e avvocati che stavano nelle ville sulla riva del fiume. Io me ne tornavo a casa, fischiettando.

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