È l’una di notte. È l’una di una giornata lunga e pesante. Due lavori, oggi. Quello di mattina, a scarabocchiare fogli mentre questa cilena pazza mi riempiva la testa di numeri senza senso. Ore buttate nel cesso. Poi sul motorino e via, verso questo negozio sullo stile dei nostri, tutto a 1 euro o giù di lì. Arrivo quando le serrande chiudono. Noi riempiamo gli scaffali. Siamo il popolo in divisa dei lavori merdosi della notte. Avete presente quelli che si addormetano alle fermate degli autobus?
Eccoci. Ero lì a lavorare coi cinesi, a scaricare casse, a sudare. Non mangiavo da non so quanto. La gola prosciugata. Ancora un’altra cassa. Ancora del cartone da mettere nella macchina. Ancora un’altra ora.
Esco di lì alle dieci, salgo sul motorino, parto. Comincia a piovere. In pochi minuti sono completamente zuppo. Qualcuno lassù si diverte ma io non gli voglio dare nessuna soddisfazione, così sorrido come un matto sotto il diluvio.
Poi arrivo a casa, bagnato, barcollante per la stanchezza, affamato, sporco. La mia Morgana è lì, e anche il compare. Sono uno fortunato, lo so. Ma oggi, oltre loro due, c’è anche una sorpresa.
Un pacco.
Lo aspettavo da mesi. Non posso credere che sia arrivato. Non posso credere che sia arrivato proprio oggi.
Mi siedo per terra. Sono intontito. Apro il pacco. Dentro ci sono due copie di “Scrivimi di questo tempo”, l’antologia in cui è pubblicato un mio racconto. In copertina, i miei occhi che mi guardano e che mi chiedono, beh?
Non so voi, ma ogni volta che io arrivo in un moment altamente emozionante, in cui ci si aspetta che io debba sorridere tutto il tempo o aprire i rubinetti, mi immobilizzo. Non penso a niente. Faccio caso a cose come il rumore del televisore o il rumore della doccia in bagno. Le persone a volte restano deluse da queste mie reazioni, la prendono sul personale, dicono che non sono mai contento. Non riesco a far capire loro che non è colpa di nessuno. Sono fatto così. A reagire alla merda, sono abituato. Per le cose belle, meglio se passate un’altra volta.
E così, stanco fino al midollo ma col sonno che già sta sgasando, accarezzo la copertina. Apro il libro. Lo sfoglio. Averlo qui, tra le mani, è una strana sensazione, che però non so definire. Mi sento ubriaco senza aver bevuto. Domani, mi dico. Forse domani saprò sentire tutto chiaramente.
Così lo chiudo, dò la buonanotte a tutti e vado a fare una doccia. Quando ho finito vado nella mia stanza e ritrovo il libro, lì sul comodino fra Pirandello e Bukowski. Una compagnia mica male, in fondo. I miei occhi quasi arrossiscono. Allora lo riprendo in mano, con tutta la stanchezza che ho. Lo sfoglio ancora. Stavolta non me ne stacco più.
Vado a versarmene uno, allora. Un bianco celebrativo. Io, il libro, un bicchiere e una stanza vuota. In fondo, il racconto è nato così. Non potrebbe esserci celebrazione migliore.
Vado su internet –tenendo sempre il libro a vista d’occhio- e scopro che una tizia mi ha contattato per delle lezioni di italiano. Soldi facili. C’è sempre un modo per uscirne con classe, da questa vita sudata. Sorrido. È una serata magica, nel suo piccolo. Date Speranza a un Uomo, e l'avrete fatto Santo. Le casse e i cinesi sono lontani già.
Così finisco il bicchiere, mi siedo sulla poltrona e apro il libro a pagina 149. Ritrovo quelle parole. Trovo il mio nome. Allora è vero. È proprio vero, cazzo.
Mi sembra che siano serviti, tutti quegli anni. Mi sembra che ci sia stato un senso, dopotutto. Mi sembra che stia cominciando qualcosa. Ma non ho voglia di pensare a questo, adesso.
Comincio a leggere mentre il mondo fa un giro su sè stesso e tutto il mondo ha una sola ora, che è quella soltanto.
E non ho più sonno.