lunedì 8 settembre 2008

Un anno



Il tizio alla scrivania è impassibile. Con un gesto veloce mi strappa l’assegno di 2mila dollari dalla mano, lo passa nella macchinetta e mi porge una ricevuta. La guardo senza capire. Non per l’inglese, ma perchè tutto è stato così veloce. Mesi e mesi, e adesso siamo al dunque. La mia Morgana mi accarezza la schiena e capisco che dobbiamo alzarci e andare, e lasciare il posto alla prossima coppia che potrà sborsare 2 mila per tentare la fortuna come noi.
Uscendo dall’ufficio immigrazione, in una giornata fredda ma piena di sole, capisco anche un’altra cosa. Se sono qui, se sto uscendo da questo ufficio, vuol dire che un anno è già passato.
Un anno. Me lo ripeto, e il suono mi sembra rimbombare. C’è un’eco strana. So che un anno è un bel po’ di tempo, lo so. Ma lo stesso, il tempo mi è sembrato volare, in un certo senso. Un anno come un gioco, ma di quelli seri.
Guardo il cielo di Oz. Lui, sempre lo stesso. Blu, anche dopo un anno. E io? Come sono dopo un anno, io?
Un anno in più, quindi più vecchio, dovrei dire. Eppure non mi sento affatto così.
Il 9 settembre 2007 lasciavo l’Italia, quel Paese che amo e odio, quella meravigliosa puttana in riva al mare. Non ci metto piede da un anno. Da un anno non vedo quelle facce. Nessuna notizia sul Grande Fratello nè su Vespa. Un anno, e sembra pure poco.
Mi guardo indietro, e quando ci provo però ricado in avanti. Il futuro, almeno, è incerto. Il passato sappiamo già come va a finire. Il mio, a pensarci bene, non finiva nemmeno troppo male: c’era un aereo, un giornale che non ho letto, c’era un volo di 26 ore, e poi una città di sera.
Di solito, a queste scadenze, si fanno dei bilanci, si fanno dei proclami. Io non sono mai stato troppo bravo in questo. Non sono mai riuscito a darmi un voto, io. Mi limitavo a vivere, e questo era tutto.
Tra quella città di sera e il tizio impassibile alla scrivania sono passate un bel po’ di cose. Sarebbe facile dire che il Marco che è partito non è lo stesso di adesso, ma non lo dirò. Non lo dico perchè non sarebbe vero. Io, sono sempre io, anche quando sono un altro. La parola che mi ossessionava, prima e durante questo viaggio che non è un viaggio, è stata “ricominciare”. Ho sempre avuto una fretta maledetta, e ho visto il mondo come da un’auto in corsa. Mai fermarsi, solo andare. Avevo troppe cose da dire prima dei titoli di coda, per stare ad aspettare il cambio di scena. La cambiavo io, la scena, se era il caso.
E l’Australia mi sembrava perfetta per ricominciare. Tutti, in fondo, vengono qui per questo. Non si capisce perchè, sennò, uno se ne va a 15000 km lontano dalla propria casa. Non si viene qui per fare foto, nè per gurdare koala (per quanto simpatici siano). In una terra di ex-galeotti, tutti venivamo ad espiare la nostra pena infinita, la nostra condanna, a cercare la nostra evasione definitiva.
Ricominciare, ancora una volta.
Questo, un anno fa.

Scendo lungo George Street, verso dove ho lasciato il motorino. L’aria si riscalda. Primavera, come un anno fa. Primavera dopo l’estate, dicevo allora. Adesso non ho più un’estate di riferimento, quindi è solo primavera. Ma basta e avanza.
Un anno, e sembravano essercene dieci dentro. Prime esperienze come se avessi 18 anni ancora, e invece i 30 sono ormai lì a ridermi dietro. La prima casa, i primi lavori. Io, lei, e un affitto da pagare. 13 anni di scuola dell’obbligo, 5 di università, e nessuno che mi avesse preparato a tutto questo. In questo senso, “ricominciare” diventa “cominciare” e basta. Direi che sono cresciuto, ma questo farebbe ridere per primo me. Siamo eterni studenti, tutto qua. Qualcosa ci ha indurito lungo la strada, ma questo è successo millenni prima di Oz e del suo sole anche d’inverno. È successo quando una Oz non sembrava nemmeno esistere. Quando a “ricominciare” non ci si pensava nemmeno.
Arrivato di primavera, e poi scivolato verso un’estate piena di pioggia. L’acqua che rigava i vetri e io che guardavo e pensavo, dev’esserci qualcos’altro che devo fare, per poter “ricominciare”. Ma cosa? Come?
Mi sono concesso il lusso di essere triste anche a Oz, e ho capito allora che tutta questa faccenda del “ricominciare” era una stronzata da libro di Moccia. Solo allora, quando ho smesso di pensare sempre e solo ad essere contento, ho potuto essere davvero felice. Solo quando ho visto il cielo d’Australia riempirsi di nuvole, ho capito veramente quanto sole ancora restava. E il cielo era lo stesso, nuvole o sole. E così io.
Un anno, e come vedete non ho smesso neanche per un attimo di dire cazzate.
È stato un bel pezzo di strada, in ogni caso. Giornate di quelle che nemmeno avevo mai pensato potessero esistere. E un “ricominciare”, alla fine, c’era davvero. Qui, tra una risata e un doposbronza, ho ricominciato a sognare. A camminare, perchè correre a volte ha senso e a volte no. Ho ricominciato a sperare, non solo per me, ma per tutti.
Ho ricominciato a scrivere. Ho ricominciato a crederci.
Ho ricominciato ad amare, qui a Oz.
A quel punto ero già arrivato al motorino. Io e Morgana siamo saliti. Abbiamo messo il casco. I documenti non in regola. Ho fatto partire il motore. Adesso non restava altro che tornare a casa.


0 commenti: