domenica 15 giugno 2008

Sympathy for the devil

Una delle canzoni che sento spesso andando al lavoro –grazie ai bellissimi cd che mi ha dato un’amica tempo fa- è “Sympathy for the devil”. Bella canzone. Il diavolo per me era davvero un simpaticone. Solo che tutti gli danno addosso sempre, poverino –povero diavolo. Ha creato lui tutte le cose divertenti della Terra, eppure al momento dei conti ci giriamo dall’altra parte, come se non lo conoscessimo. Ha fatto cambiare lui il mondo, mica il suo collega. Anche quando gli eserciti avevano la croce, c’era sempre lui dietro. Dove c’è uomo c’è diavolo, in fondo. Solo che noi non vogliamo averci a che fare, perché cosi ci hanno insegnato da piccoli. Così facciamo le cose e ce ne pentiamo. Sentiamo senso di colpa per qualcosa che noi pensavamo giusta ma qualcun altro ha definito sbagliata. I tuoi istinti fanno il tifo per il povero diavolo. Poi arriva la sua controparte, e rovina la festa.
Anche nel peggiore dei doposbronza, non ho mai detto –mai più. Quella è una frase che si aspetta il me stesso con l’aureola. Io sapevo che sarebbe successo ancora, e che mi sarebbe piaciuto ancora, e allora che bisogno ho di fare stare zitta la mia coscienza con promesse che tanto non rispetterò?
Male e bene, e io non sono un satanista, non me ne frega niente di religioni e surrogati vari. Ma non ho mai creduto alla storiella del male male e del bene bene. non esiste nessun buono davvero buono. C’erano santi, nel cattolicesimo, che scopavano, ammazzavano, si ubriacavano. Papi che sono andati in battaglia. A quel tempo qualcuno aveva detto che era giusto così. Sant’Agostino era quello che voleva castità –ma non subito, Signore, aspetta un po’. I cattolici hanno dimenticato che l’albero da cui Adamo ed Eva avevano mangiato non era l’albero del male, o del bene e del male. Quello proibito era l’albero della CONOSCENZA del bene e del male. La differenza è di una parola, ed è immensa. Il buon Dio ci voleva nell’ignoranza, e tanti cattolici ci sono anche riusciti nell’impresa (senza generalizzare, please). Quello che rende quindi l’uomo davvero umano è il conoscere questi limiti, non fare sempre la cosa giusta. Conoscere le proprie ombre prima ancora che i propri colori.
Il male in sé non vuol dire niente. È tutto e niente. L’uomo è nato per ferire e uccidere l’altro uomo, non per abbracciarlo. La sua natura è animale. Il passo successivo è far convivere questa sua natura con la coscienza che c’è il giusto e c’è l’errore. Per istinto sono sempre stato attirato dalle persone che hanno fatto grandi errori, nella loro vita, perché spesso quello è l’unico modo che hanno avuto di trovare la cosa giusta –la LORO cosa giusta. Mi sono sempre stati simpatici i falliti, i caduti, quelli che hanno perso tutto, quelli che l’hanno presa nel culo, quelli che sono a terra con l’arbitro che comincia già a contare. Laggiù si possono avere le idee molto più chiare, credetemi. Si vedono le cose con qualche velo di ipocrisia e superficialità in meno. Si capisce meglio. Si mangia di nuovo quella mela lì.
Non sempre, ovvio. Non tutti quelli che cadono si rialzano, e non tutti quelli che lo fanno sono persone migliori, illuminate. C’è chi torna incattivito –e spesso ha tutte le ragioni per esserlo. È umano anche questo.
Gli altri hanno forzato i loro limiti, e sono andati avanti. Si sono spinti fino all’Inferno, e forse hanno scoperto che non esiste nessun Paradiso, o che non è quello che ci aspettiamo. Ma anche lì, era quel buon diavolo a guardarli con pena, non il suo collega. Il diavolo non li giudicava, non era lì a dirgli che stavano sbagliando tutto. Il diavolo capiva. E loro capivano lui.
Come diceva Twain, il paradiso lo preferisco per il clima, l’inferno per la compagnia. E così, lasciamo le nuvole ai primi della classe, sempre puliti belli bravi e buoni –e noiosi, dio mio. Noi ce ne stiamo lì sotto a fare casino ancora un po’.
PLEASE TO MEET YOU, HOPE YOU GUESS MY NAME!

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