domenica 29 giugno 2008

Mattina di Oz

Appena suona la sveglia, allungo subito una mano per staccarla. Sono le sei e mezza e nella casa dormono ancora tutti. Il mal di testa è devastante. La sorella della padrona di casa russa piano nel divano accanto. Io mi giro nel materasso per terra, e mi scambio un bacio alcolico con la mia ragazza prima di alzarmi. Solo pensare alla colazione mi fa venire da vomitare. Mi verso un bicchiere d’acqua, poi un altro. La testa che batte. Mangio un cookie. Altra acqua. Poi mi spoglio piano, nel buio, cercando di non fare rumore. Dal piano di sopra, altro russare. La mia ragazza mi saluta e si riaddormenta.
Fosse stato un sabato, magari nella mia Gladesville, sarebbe tutto diverso. E invece esco di casa in una mattina di sole di giovedì, a Ryde, Sydney, Australia. La sensazione di freddo appena esco di casa, e poi quella, infinitamente peggiore, del trovarmi in un tragico doposbronza in una zona che non conosco, in un paese sotto l’equatore, con una vaga idea solo del bus da prendere per andare al lavoro per altre 8 ore di quotidiana follia. Mi incammino piano, con lo zaino pieno e gli occhi pesanti. Non avrei dovuto bere quello shot di Jageirmaister. Se è per questo, non avrei dovuto bere nemmeno quello shot di assenzio. Ma tanto a quel punto, dopo un’intera bottiglia di vino, probabilmente contava poco. Ma è stato divertente, e in questa vita che si misura più a risate che a centimetri di fegato salvati, è questo quello che conta. Un delirio, come sempre. Cose australiane, come sempre.
Insomma, com’è è, arrivo alla fermata. Sarà quella giusta? Odio questa sensazione. Tutti sanno dove cazzo stanno andando tranne me. Guardo gli uomini in giacca e cravatta, i vecchi e i loro bastoni, i ragazzi con quelle uniformi ridicole per la scuola. Mi sale un rutto leggero che sa di rosso di Tambawamba, o come cazzo si scrive.
Salgo e trovo un posto a sedere. Tutto quieto, per fortuna. Tutto, tranne una ragazza che parla a voce alta al telefono. La ascolto, come tutti gli altri 50 nel bus. Italiana. Dall’accento direi siciliana, ma non di città. Sta litigando col ragazzo. Cristo Santo. Mi trovo sul 290 che va verso Parramatta, sfiliamo verso il Macquarie Center, e devo ascoltare una siciliana che urla al telefono mentre sono in doposbronza. Cristo.
Grazie a dio dopo un paio di fermate stacca il telefono in faccia al ragazzo e scende. Io mi godo la pace, e rischio anche di addormentarmi. C’è caldo, nel bus. Si sta bene. Sa di noddles e sigarette. Una ragazza asiatica davanti a me tiene gli occhi chiusi. Ci fermiamo ogni tanto a prendere su qualcuno, e qualcun altro scende. Al 95%, tutti asiatici. In questa zona di Sydney è esattamente come trovarsi a Singapore o Bangkok. Anzi no, a Bangkok è pieno di turisti.
Mi studio un po’ le facce, mi guardo un po’ di panorami. Non ce la faccio a leggere, né a mettermi l’ipod, oggi. Però quel cazzo di agnello ieri era una favola. Peccato che non sia andato giù del tutto. Facce stanche, facce da 7 di mattina. Quello non cambia mai. Facce di chi sta andando a dare il culo per qualche ora. Solo l’abitudine e la necessità permettono di tenere i pezzi insieme, e nemmeno sempre. Qualcuno legge il giornale, qualcuno si addormenta. Arriviamo.
Altra cosa che mi manda in paranoia, la fermata del bus. Quando ne prendo uno nuovo, ho sempre paura di sbagliare. Così cerco di non farmi fregare, scendo prima di quando dovrei, e capisco solo allora che così ho solo peggiorato le cose.
Stavolta scendo quando dovrei. Mi sembra che tutto fili. Peccato che della strada che dovrebbe portare al mio ufficio, nemmeno l’ombra. Eccomi qui, 15000 km lontano dall’Italia, senza sapere dove cazzo andare. Chiamo la mia ragazza, ma lei è già al lavoro e non mi può aiutare. Penso per un attimo di fermarmi lì, magari ricostruirmi una vita. comprarmi una casa, cose così. Ma è una zona troppo costosa per me. Prendo su lo zaino e comincio a camminare.
Vado avanti per un paio di km, poi torno indietro per la stessa identica strada. Le persone alla fermata pensano che sia pazzo. Non posso dargli torto. Avvicino qualche camionista che sta caricando per chiedere informazioni. Il mio inglese da doposbronza e il loro australiano sono più o meno la stessa, incomprensibile cosa. in ogni caso, nemmeno loro sanno dove cazzo sto andando. Almeno mi comforta un po’.
Alla fine, seguendo più l’ispirazione che una vera e propria logica, imbocco una di quelle stradine per pedoni e biciclette che affiancano l’autostrada. Mai fatto prima. Comincio a camminare. Sono solo. Il sole ora batte forte, ma si sta bene. più che inverno, una primavera spettacolare. Nemmeno una nuvola. Rutto ancora un po’, e mi viene da pisciare per tutta l’acqua che ho bevuto prima. Cammino piano, senza essere sicuro di dove andrò a finire, e penso, che cazzo, sei in Australia, ma ti rendi conto? Stai andando al lavoro (o almeno, ci stai provando), in un paese dall’altra parte del mondo. ti sei ubriacato in 2 continenti, e prevedi di allungare la lista. Un anno fa eri ancora a fare avanti e indietro per la Tiburtina. Ora sei a Lane Cove, e stai andando verso Artarmon (o almeno così speri, sennò arriverai al lavoro con un LEGGERO ritardo). In questo momento esatto in Italia stanno andando tutti a nanna, e tu sei qui sotto il sole. Chi se ne frega di doposbronze e orari e tutto il resto. Solo, goditela.
E così faccio. Metto gli occhiali da sole, e cammino piano, con piacere, per le rampe deserte, mentre le macchine mi sfrecciano accanto. Supero palazzi vuoti sotto un cielo blu abbagliante. Poi faccio l’unica cosa logica da fare in situazioni del genere: accendo l’Ipod, seleziono “Riders on the storm” dei Doors, rallento ancora di più il passo, e vado.

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