venerdì 4 marzo 2016

"Siamo spiacenti di" - Dino Buzzati



Scrivi, ti prego. Due righe sole, almeno, anche se l’animo è sconvolto e i nervi non tengono più. Ma ogni giorno. A denti stretti, magari delle cretinate senza senso, ma scrivi. Lo scrivere è una delle più patetiche e ridicole nostre illusioni. Crediamo di fare cosa importante tracciando delle contorte linee nere sopra la carta bianca. Comunque, questo è il tuo mestiere, che non ti sei scelto tu ma ti è venuto dalla sorte, solo questa è la porta da cui, se mai, potrai trovare scampo. Scrivi, scrivi. Alla fine, fra tonnellate di carta da buttare via, una riga si potrà salvare. (Forse.)

A volte, in queste recensioni non richieste, mi sono dedicato a scrittori che ho definito “dimenticati”. Dino Buzzati non è stato dimenticato, vista anche la sua presenza costante in libreria –ma sottovalutato, questo sì.
Intendiamoci: a molti piace quel suo gusto per la novella breve, la fiaba, la storiella morale. Ma tanti, tra questi molti, si fermano solo a quello. Buzzati, invece, nasconde un mondo.
Qualche giorno fa leggevo un’intervista a Tiziano Sclavi, il creatore del personaggio a fumetti Dylan Dog. In un passaggio definiva Buzzati una delle sue maggiori influenze a livello stilistico.
E questo non è che un piccolo esempio. La scrittura di Buzzati, sommessa e lontana dalle prime pagine, ha scavato un solco nella nostra recente letteratura, contaminando molte più persone di quanto si potrebbe pensare. Oggi ci ricordiamo più dei racconti di un Ammaniti –per dirne uno- ma pochi si ricordano del buon Dino –lui che ha preso un genere che stava perdendo smalto in Italia (mentre prosperava in America) e lo ha portato ad un nuovo livello.
Ma questo non vale solo per i racconti, chiaramente. I romanzi, dal “Deserto dei Tartari” a “Un amore”, dimostrano che Buzzati aveva polmoni buoni anche per la corsa lunga –così come sapeva esprimere dubbi e far intravedere mondi con storielle e breve annotazioni, che sono alla base di questa “Siamo spiacenti di” (Mondadori), raccolta sparsa di storie, racconti e pensieri in libertà.
Perché di Buzzati non si butta via, e anche questa sorta di “diario artistico” dell’autore risulta estremamente interessante.
In “Siamo spiacenti di” ritroviamo quella prosa che ha reso famoso Buzzati, semplice, colloquiale, da passeggiata a fine pomeriggio per le strade della città –ma anche curata, mai sciatta, come se fosse stata scritta da un aristocratico, un uomo di mondo che sa districarsi tra prime alla Scala e convenzioni sociali –salvo poi farsi cedere le ginocchia davanti ad una bellissima ragazza (le donne sono sempre state il suo punto debole). La sua è una scrittura lucida, elegante pur senza fronzoli –qui e lì magari un po’ desueta, ma anche fotografia fedele di un modo di parlare e scrivere, di un’Italia e una Milano meno conosciute.
I temi sono molto simili a quelli affrontati in altri libri, tanto da diventare quasi dei leit-motiv: la morte, lo scontro tra anziani e giovani, l’amore (spesso non ricambiato), la solitudine. Così si esprime Buzzati in un passaggio del libro:
Spesso mi dicono: “Ma perché lei scrive sempre cose allucinanti e angosciose? Ma perché non prova a cambiare? Ci sono tante cose belle e liete a questo mondo. Perché non racconta qualcosa di allegro? Sì, non si può negare che lei abbia una certa fantasia. Ma, vede, alla fine si ha la sensazione che lei scriva sempre le stesse cose”.
Al che io, naturalmente, taccio, incassando. Può forse uno scrittore ribattere alle critiche del genere? In cuor mio però vorrei rispondere: ma tutti gli scrittori e gli artisti nella loro vita, per lunga che sia, dicono ciascuno una cosa sola! Chi con grande respiro, chi con esile fiato, ma sono sempre identici a se stessi. Per forza. Altrimenti non sarebbero sinceri.


Buzzati è rimasto fedele a se stesso, interpretando il mondo con ironia, con fantasia, col paradosso, con una ingenuità che sembra ormai di un altro tempo, ma anche con una malinconia che non lo mollava mai.
E proprio per quella malinconia, ogni suo sorriso sembra più vero, più sincero, più sofferto.
Ed è per questo che non dovreste farvene scappare nemmeno uno.

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