mercoledì 20 maggio 2015

"Riparare i viventi", Maylis de Kerangal

Che fare Nicolas? – Seppellire i morti e riparare i viventi.

Tre ragazzi, poco più che ventenni, escono in una fredda mattina di inverno per surfare vicino Le Havre. Al ritorno dalla spiaggia hanno un incidente. Uno dei tre, Simon, ha la peggio. Arrivato in ospedale, viene dichiarato clinicamente morto. Alla famiglia spetterà la decisione più difficile, e cioè se far rivivere Simon attraverso i suoi organi, specialmente il suo cuore.
Queste le premesse di “Riparare i viventi” di Maylis De Kerangal (Feltrinelli). Se pensate che vi abbia spoilerato qualcosa della storia, tranquilli: è abbastanza lineare, e procede senza troppi colpi di scena. Più che una trama, la De Kerangal mira a costruire una serie di sensazioni, di emozioni ritmate dal cuore del protagonista.
A questo punto devo dire che, a dispetto di tutte le recensioni più che lusinghiere a questo libro del 2014, vincitore di alcuni premi in Francia, il mio pollice va decisamente verso il basso. Il passo che sceglie l’autrice è quello di un flusso di prosa, quasi a voler riprendere l’onda tanto cara a Simon. Non sono un amante di questo tipo di scrittura, ma l’apprezzo quando è sostenuta dalla bravura dell’autore, dalle sue scelte lessicali, dalle immagini evocate lungo il cammino. Non è il caso della De Kerangal, secondo il mio parere. Il suo flusso trascina l’attenzione del lettore, sballottolandola a destra e a manca, e, cosa più grave, annegando parole e interi paragrafi. Tanti passaggi vengono sacrificati ad un ritmo che diventa insostenibile, perfino noioso, e rende spesso faticosa la lettura. Puoi evocare un tot di volte, ma poi stanchi davvero. Questo libro finisce per assomigliare ad una storia seria raccontata però da qualcuno che non arriva mai al dunque, e preferisce trucchi e strade laterali alla via principale. Un silenzio, un punto, una frase breve, a volte dicono più di interi discorsi.
Peccato, perchè una storia del genere avrebbe meritato tutto un altro approccio. Era stata quella ad attirarmi, un po’ per le mie esperienze recenti, un po’ perchè si soffermava su qualcosa che spesso diamo per scontato, come il dolore della famiglia e la scelta impossibile che deve fare in una manciata di ore, o di come ci si possa sentire, dall’altra parte, a ricevere qualcosa perchè qualcuno è morto per donartela. Temi forti, importanti, che si perdono in esercizi di stile che strangolano le emozioni, banalizzando gli eventi, i percorsi dei vari protagonisti, e facendo perdere un’occasione per raccontare una buona storia –e, per me, perdere qualche ora del mio tempo.

Consigliato a:
nessuno a cui voglia bene.

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