domenica 2 novembre 2014

"Kafka sulla spiaggia", Haruki Murakami

Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.

Mi verso un Jim Beam (che detesto, ma qualcuno l’ha lasciato qui da qualche altra festa) e mi accingo a parlare di “Kafka sulla spiaggia”, il libro che forse meno mi è piaciuto di Haruki Murakami. Perchè allora affannarsi a scriverci una recensione? Un po’ perchè me lo sono imposto, come esercizio e promemoria, e un po’ perchè di un grande scrittore non si butta via quasi niente, nemmeno quando ha un momento di fiacca.
Ironicamente, il libro è visto come un seguito “ideale” (storia e personaggi non hanno niente a che vedere) con “La fine del mondo e il Paese delle meraviglie”, il libro con il quale ho scoperto Murakami e, per me, il suo migliore tra quelli letti –e mi spingo a dire, uno dei migliori che ho letto negli ultimi anni (tant’è che l’ho prestato parecchio in giro: Giulia, se sei in ascolto, quando me lo ridai?)
“Kafka sulla spiaggia” parte, come sempre con Murakami, da premesse semplici, quasi banali: Tamaru, ragazzo quindicenne, decide di fuggire da casa. Prende con sè i suoi vestiti e pochi soldi, e parte senza una meta stabilita. Già poche pagine dopo, però, si racconta di uno strano episodio avvenuto vicino Hiroshima durante la Seconda Guerra Mondiale, e da lì in poi tutto prende la solita piega onirica dei romanzi di Murakami. Tamaru continua il suo viaggio che lo porterà ad una biblioteca e ad essere coinvolto con dei personaggi che, come sempre con questo autore, sono assurdi e perfettamente credibili allo stesso tempo. Nel frattempo seguiamo anche le gesta di Nakata, anziano con deficit cognitivi che sa parlare con i gatti e viene, suo malgrado, coinvolto in uno strano omicidio...
La trama, come spesso capita con i romanzi di Murakami, sarebbe troppo lunga e troppo folle da esporre in una sinossi (come avrà convinto il suo primo editore, resta un mistero). É un altro romanzo permeato da quello che è stato definito “realismo magico” (il solo romanzo “reale” di Murakami è “Norvgian Wood”), che non sarebbe un genere che sceglierei, ma per fortuna sono uno che se ne frega delle definizioni, e quindi posso dirvi solo che il libro, come tutti gli altri, fila che è una bellezza. Murakami riesce come sempre a descrivere il soprannaturale e ogni sorta di episodio grottesco utilizzando uno stile chiaro ed efficace. Nonostante le oltre 500 pagine, non ci metterete molto a finirlo.
In quanto alla storia, la finirete ma probabilmente vi resterà più di un dubbio in testa. Come spesso capita, vi chiederete il perchè di certe cose che accadono nel libro. Forse la risposta, se si vuole apprezzare davvero Murakami, è che certe cose accadono e basta, senza doppi significati. A volte è come un sogno, e spiegare un sogno può essere affascinante, ma in ultima analisi, inutile. Lasciatevi portare via senza farvi troppe domande, tanto comunque non avrete risposte. Murakami stesso, in un’intervista, ha dichiarato che “Kafka sulla spiaggia” è un libro da leggere più di una volta, per poterne afferrare i vari significati nascosti tra le pagine.
Ah, Haruki, io ti voglio bene, e forse un giorno rileggerò le tue 500 pagine, ma al momento dovresti metterti in fila perchè qui di cose da fare ce ne sono parecchie. Ma brindo lo stesso alla tua, pure con questo whisky che non sa di whisky.
“Kafka sulla spiaggia”, nonostante la sua scorrevolezza, resta uno dei libri più oscuri dell’autore, e sicuramente non da suggerire per approcciarsi all’opera di Murakami. Si sfiorano, lungo la lettura, quei significati nascosti, a volte persino primordiali, psiconalitici, disseminati in ogni pagina. Si intuisce che c’è dell’altro. In un mondo senza le 40 ore lavorative a settimana, una lettura così sarebbe altamente consigliata.
Dove però “La fine del mondo e il Paese delle meraviglie” riusciva, e “Kafka sulla spiaggia” un po’ meno, era nel creare un mondo “altro”, poetico, che faceva propendere alla sospensione del giudizio. Il ritmo era più serrato, i significati più cosmici. “Kafka” gioca un po’ con le parole, e ci mette troppo tempo a dire le cose che deve dire, sciupandone un po’ il significato.
Detto questo, “Kafka sulla spiaggia” non è lettura semplice (anche per Murakami, ed è tutto dire), ma non avrete comunque la sensazione di aver sprecato del tempo. Non come ne avrete sprecato leggendo questa recensione, comunque.
Vado a farmi un altro Jim Beam.

Consigliato a:
i fan di lunga data di Murakami, gli appassionati di storie surreali, chi si è appena licenziato o è andato in vacanza e non ha figli a rompergli i coglioni

Marco

4 commenti:

clelia ha detto...

Che bello leggere di Murakami dallo Zango! Volevo però dissentire sul giudizio non troppo positivo che hai espresso sul romanzo. Anche qui, a me Murakami è sembrato capace di esplorare la complessa natura psicologica dell'uomo con profonda sensibilità e con illuminanti analisi implicite. E' pur vero però che lo psicologo qui sei tu, ehehehe! Ci tenevo però a ribadirlo: questo romanzo a me è piaciuto molto. Per dirne una, mi è rimasta dentro l'immagine di un Beethoven sordo e percettivo allo stesso tempo. Non che non ne conoscessi la storia ma, ecco, anche gli esempi più "banali" lasciano tracce di sè, quando a farli è Murakami. I viaggi mistici-esistenziali delle sue storie mi toccano sempre. Un libro che ho preferito a questo? Forse "L'uccello che girava le viti del mondo".

Lo Zango ha detto...

Permettimi di dire: che bello leggere di Cles! Apprezzo molto la tua risposta, d'altra parte uno dei piaceri del leggere e' anche accedere ad un mondo che sono gli altri tuoi simili conoscono -e tu sembri conoscere molto bene il mondo del buon Murakami... forse ci sono andato giu' troppo pesante, ma mi sono ripromesso di recensire senza filtri, anche nei casi (come questo) di scrittori che amo... concordo con te, e' un libro affascinante e incredibilmente ricco... anche a me, poi, piacciono molto le sue "storie secondarie" che coinvolgono artisti reali, come Beethoven appunto e anche il Kafka del titolo, o i vari brani musicali (mi viene in mente la "Sinfonietta" di 1Q84) che hanno sempre una storia dietro... forse l'unico rimprovero che gli muovo, in questo caso, e' di aver "condensato" tanto in poco spazio, portando ad una piu' difficile comprensione che, come dicevo nel post, necessita di piu' letture... ma non sarebbe male come libro da portarsi su una spiaggia deserta -e gia' per questo il buon Haruki si merita tutti i nostri brindisi ;)

GIO - PRONTO AL PEGGIO ha detto...

...interessante.
Ma se un quadro di picasso mi fa schifo lo scrivo sui muri , perché mai difendere chi di difese ne ha già parecchie :-)

Lo Zango ha detto...

Assolutamente d'accordo. Sto gia' affilando i coltelli per le prossime recensioni :)