domenica 4 marzo 2012

I giovani lasciateli stare


Ho già parlato sul Morgana di come la nostra lungimirante società italiana vede i Giovani, e ho anche parlato di chi, in tutta coscienza, ritengo essere uno dei responsabili –ovviamente non il solo- della “fuga” di molti di loro verso luoghi ancora non toccati dai Co.co.co., dagli stage infiniti e dai call center affollati.

Oggi però mi sento sommerso da parole sicuramente fuorimisura, ma inevitabili ed indispensabili.
Ora che coi Giovani ci lavoro, per uno strano scherzo del destino, mi sento di dover tirare fuori di nuovo l’argomento. Ed è chiaro che con Giovani (volutamente maiuscolo) intendo un gruppo egualmente ampio e sottovalutato, oltre che maltrattato, che va dalla scuola superiore e si protrae a volte fino alla soglia dei 40. Una giovinezza infinita di cui nessuno sentiva il bisogno, e che viene negata proprio da quelli che l’hanno creata, ma vabbè. Strano pensare che, in quest’inquadratura filosofica, possa rientrarci uno come me, che Giovane non si è mai sentito nemmeno quando la carta d’identità diceva il contrario.

I Giovani con cui ho a che fare sono quelli appena fuggiti. Hanno nelle ossa ancora il fuso orario da recuperare, e nel viso lo sguardo di chi ancora cerca di capire come c’è finito lì. Quindi è così che è fatta l’Australia, sembrano dire.
Fanno domande guardinghe, usano il lei, toni composti e seri. Io dico loro di non farsi intimorire dalla stanza, scambio qualche battuta, gli faccio capire che si può essere umani anche dall’altra parte dell’oceano. Solo allora si rilassano un po’, raccontano un po’ le loro storie. Ci facciamo una sigaretta virtuale mentre parliamo di questioni tecniche –lavoro, visti, inglese. Alcuni, lo vedi, sono davvero partiti all’avventura, senza sapere nemmeno come si scrivesse Sydney. Però l’hanno fatto, e a quel loro gesto imprudente e coraggioso ora non riescono a dare un valore, storditi dal viaggio dal sole da quel nuovo parlare.
Negli occhi di tutti, indistintamente, leggi una cosa chiamata nostalgia, anche quando il viaggio è stato cercato, voluto, sudato. Quello che manca è un appiglio familiare in quella piccola pazzia che profuma d’impresa.
Io porgo la mano e dico, chiamami quando vuoi. E finalmente vedo il primo sorriso.

Un’altra cosa vedo in quegli occhi, oltre alla mancanza di casa, degli amici, dei profumi a tavola: vedo rabbia. Una rabbia che ancora non può usare le energie che sono destinate alla sopravvivenza, a capire, a orientarsi, ma che vengono fuori in frasi spezzettate, spesso deluse. Lì non c’è più niente, bisbigliano come reduci da una guerra apocalittica. Non potresti mai credere che quel “lì” al quale si riferiscono è un Paese che siede al G8, un Paese del Primo Mondo, conosciuto in tutto il pianeta, sognato, stimato.
Non potresti crederlo, e infatti molti non lo fanno. Anzi, fanno finta che questo non sia mai successo –che non stia succedendo. Sono le persone che dovevano assicurare un futuro a questi ragazzi - che dopo averli formati, dopo aver spiegato loro come potevano occupare un certo posto nella società, gliel’hanno tolto da sotto il culo e amen. Sono le persone che hanno fatto tagli su tagli mentre sperperavano miliardi in voli di Stato per puttane, in auto blu, in finanziamenti a partiti (perfino quelli che non esistono più), in Grandi Opere mai realizzate, in stipendi stellari e fine dei giochi. Sono le persone che si riempivano la bocca con parole come “crescita”, “sviluppo”, mentre io giorno dopo giorno mi trovo davanti architetti, psicologi, dottori che mi chiedono della “farm” –perchè in Australia se lavori per 3 mesi nei campi ti danno un altro anno di visto- e io ascolto in silenzio e poi dò consigli e non posso fare a meno di pensare che un Paese che lascia alle sue generazioni future l’unica speranza di raccogliere mango dall’altra parte del pianeta è un Paese che ha fallito, in tutto e per tutto.

Ma io so che questi signori torneranno –quelli che prima hanno negato la crisi, poi l’hanno addossata a qualcun altro e hanno chiesto il conto a chi è arrivato per ultimo. Torneranno come se niente fosse e diranno, noi non c’entriamo niente con quelli, noi siamo IL NUOVO, noi possiamo aiutarvi, fidatevi.
Un articolo di un tizio sul giornale italiano di Sydney s’intitolava “Fiero di essere berlusconiano”. Ma almeno lui può dirlo dall’altra parte del mondo, senza sapere un cazzo di quello che hanno significato per questi ragazzi in fuga 18 anni del governo più sconclusionato e ignorante possibile. Ma chi ci vive lì ogni giorno, come fa a non capire?
Ma ovviamente la colpa non è mai solo di uno. Arriveranno anche quelli dall’altra parte e diranno, noi siamo sempre stati con voi, noi lottiamo per i Giovani.
Ecco, a questi signori, a tutti loro, da una parte e dall’altra INDISTINTAMENTE, vorrei dire, cordialmente e pacatamente: non provateci nemmeno per scherzo.
Lasciateli stare, ‘sti Giovani, che di voi non sanno che farsene. Continuate a mendicare per il vostro voto, per il vostro culo, ma non a quelli che avete fatto andare via. I Giovani hanno dovuto portare il loro lontano per colpa vostra. So che questo non vi toglierà il sonno, che anzi nemmeno ci pensate. Ma quando i tempi cambieranno, quando apriremo gli occhi e vedremo che non c’è rimasto più nessuno, non dite: io non c’entro, io non sapevo, io non volevo.
Non provateci nemmeno.
Il fuso orario, alla fine, passa. Il lavoro nei campi è massacrante, ma è un’esperienza fantastica. Tutto serve, alla fine, per farti sentire vivo.
Che è l’esatto contrario di quello che siete voi.
Buon vitalizio a tutti.

1 commenti:

Derevaunseraun ha detto...

...e trovare lo Zango alla fine del viaggio, il che è forse il miglior inizio possibile. Sono fiero di te, AA, che sei un grande da tempo, da molto prima che la carta d'identità o qualche altro grasso e grosso coglione dicessero il contrario.
Ti abbraccio.