domenica 30 aprile 2017
Il materassino (racconto)
Parcheggiò la macchina e la sua vita in un luogo in cui non si sarebbe mai voluto trovare, non una domenica mattina di inizio agosto. Simone Paduli scese dall’auto col sudore che scorreva giù dai pochi capelli rimasti. Venticinque minuti –venticinque- solo per trovare un posto –e per tutto quei venticinque minuti Renata Paduli, sua consorte, non aveva smesso di lamentarsi pressapoco di qualunque cosa –il caldo, la folla, le macchine, i pedoni, l’ora, il giorno, il mese, l’anno. Eppure, ricordava Simone, era stata sua l’idea di andare in spiaggia. Lui avrebbe preferito mille volte restare a casa e riposarsi dopo quella settimana di merda. Ogni volta che ci ripensava, riusciva (unico momento) a sorprendersi di se stesso: come era finito a fare quel lavoro del cazzo insieme a quella gente del cazzo? Sembrava troppo persino per Simone Paduli. Ma la risposta in fondo la sapeva già, ed era, banalmente, una promozione a quadro dirigenziale. Così italiano medio, pensò. Ma quei soldi gli avrebbero fatto comodo. Una nuova auto, rinegoziare il mutuo, perfino una settimana bianca con Renata che gli teneva il muso per inverni interi, sperando e maledicendo. E invece...
«Non stai dimenticando niente?» chiese Renata.
«Cosa?»
«IL MATERASSINO, Simone! Il materassino di Federico!»
«Il materassino, sì, ho capito, che bisogno c’è di urlare?»
Federico stava già camminando verso la spiaggia, le piccole spalle volte verso di loro. Lo faceva sempre, si allontanava e poi Renata si sgolava per farlo tornare. Lui tornava, alla fine, con un sorrisetto e nessun senso di colpa.
Simone andò a prendere il materassino nel cofano. Non c’era una parte del suo corpo che non fosse sudata. Si mise sottobraccio il materassino e si avviò alla ricerca di Renata e Federico. La spiaggia era piena zeppa, non ci poteva muovere senza pestare qualcosa o qualcuno. Ovunque puzza di sudore e abbronzante, radio accese e chiacchiere impalpabili. Simone rischiò di bucarsi un occhio con un ombrellone. Alla fine trovò la moglie che stava schiaffeggiando il figlio nella schiena. Il figlio si sforzava di piangere senza riuscirci. Simone sistemò le asciugamano. Appena ebbe finito arrivò Renata.
«Perché le hai messe sulle pietre?» chiese.
«Pensavo…» cominciò, poi rimase zitto mentre lei le spostava un metro più in là, borbottando. Renata era arrabbiata, come sempre più spesso le succedeva. Simone era arrivato al punto che spesso le chiedeva scusa senza sapere bene perché. Lo faceva sentire come se stesse facendo sempre qualcosa di sbagliato. Inutile chiederle anche il motivo del suo umore, il dialogo ormai era ad una via. Persino quando, quella mattina, aveva parlato di andare al mare, non l‘aveva chiesto: l’aveva ordinato.
Il tutto si traduceva nel continuo e inutile tentativo da parte di Simone di fare arrabbiare Renata il meno possibile. Inutile, perchè ormai aveva capito che quello era il suo umore di default. Doveva limitarsi a camminare sulle uova, prevenendo ogni elemento che potesse irritarla ancora di più. Se poi osava dire una parola in sua difesa, chiedere, chiarire, era la fine. Renata si metteva a strillare e rinfacciare qualsiasi cosa, non importava se vera o meno. Non c’era modo di vincere quelle discussioni, quindi Simone preferiva star zitto. Inghiottiva, diceva di sì e abbassava la testa, fino alla sfuriata successiva.
E questo era quello che lo aspettava ogni giorno quando tornava da un lavoro che detestava.
Gli amici avevano anche smesso di chiedergli perché non sorridesse mai.
Si sdraiò sull’asciugamano. Renata indossava occhiali da sole e sentiva qualcosa con le cuffie.
Simone Paduli se ne restò un po’ lì, nel tentativo di riposarsi. Subito pensò: domani sarò di nuovo al lavoro. Questo è il mio giorno libero. Il sole gli dava fastidio, facendolo sudare ancora di più. Desiderò ancora di essere rimasto a casa.
«Pa’, il materassino»
Chiuse gli occhi, sperando servisse a qualcosa.
«Pa’, IL MATERASSINO!»
Dio, pensò.
«Dammi cinque minuti, ok, Federico? Il tempo che mi riposo due secondi», e tornò giù.
«Papi, dài, IL MATERASSINO! VOGLIO FARE IL BAGNO!»
La voce stridula del figlio si unì a quella di tutti gli altri bagnanti. Una sola voce da unghie sulla lavagna, a strappargli via dallo stomaco ogni desiderio di pace.
Simone Paduli sbuffò, riaprì gli occhi e si tirò su.
«Ok, dammi quel cavolo di materassino e la pompa»
«Non ho la pompa» disse Federico.
«Come no? Ti avevo detto di prenderla dalla macchina!»
«Non mi hai detto niente» disse Federico.
Per un secondo Simone guardò suo figlio, i capelli biondi, le lentiggini, le braccia magre, ed ebbe voglia di assestargli un calcio in culo. Non gli restò invece altro che incamminarsi di nuovo verso la macchina, attraversando quella giungla incomprensibile di corpi sudati e ombrelloni. Col figlio non c’era nessun tipo di dialogo. Simone Paduli, in fondo, non aveva mai realmente voluto essere padre, ma quando era successo aveva pensato che avrebbe fatto del suo meglio. Adesso il figlio gli parlava solo per chiedergli qualcosa. Era l’arma in più di Renata, il movente supremo per tutte le sue crisi isteriche. Ancora una volta, Simone preferiva evitare la guerra e dire di sì. Era facile dire di sì.
Forse troppo facile.
Andò alla macchina, prese la pompa, tornò alle asciugamani. Renata ascoltava ancora la musica. Il figlio si era allontanato di nuovo. Simone attaccò la pompa al materassino. Era una di quelle pompe in cui si schiaccia un pedale migliaia di volte e il materassino si gonfia. Simone cominciò a schiacciare il pedale. La sabbia non faceva presa e ogni tanto la pompa gli scappava da sotto i piedi. Il figlio non si vedeva. Continuò a pompare, sentendosi un coglione a farlo lì, sotto il sole, sudando come una fontana.
Ci impiegò dieci minuti. Federico arrivò nell’esatto momento in cui Simone aveva finito.
«Grazie» disse con un angolo della bocca, poi afferrò il materassino ma era troppo pesante per lui. Era un materassino matrimoniale, in tela. Renata l’aveva voluto così. Simone pensava che per Federico bastasse quello piccolo. Non aveva protestato.
Aveva pagato e basta.
«Mi aiuti?» disse il ragazzino.
Simone sbuffò, si chinò a prendere il materassino e lo portò in acqua.
Finalmente riuscì a sdraiarsi per cinque minuti. Era così stanco che si stava quasi per addormentare, ma il sole era troppo caldo. Avrebbe voluto portare un ombrellone, ma Renata aveva detto che avrebbe ingombrato troppo. Non più di un materassino di due metri per tre, aveva pensato Simone senza dirlo.
Continuava a sudare. La gente intorno era impossibile da guardare, sudata e compiaciuta di qualcosa che sembrava terribilmente sbagliato. Contenta senza motivo per esserlo. Si sentiva insofferente. Avrebbe voluto parlare con Renata, magari anche sfogarsi un poco, ma era impossibile. Un tempo facevano delle lunghe chiacchierate a letto. Parlavano di tutto. Adesso ci dormivano e basta.
Renata non era più la stessa nemmeno fisicamente. Non che fosse ingrassata o altro, ma l’eterna incazzatura le aveva fatto perdete quella bellezza naturale che aveva un tempo.
Simone si mise a sedere sull’asciugamano guardandosi in giro. Non riusciva a smettere di pensare al lavoro. Una volta svanita la promozione –che era stata solo un’esca adatta per un allocco del suo calibro, ormai lo sapeva- era rimasto con in mano un lavoro che non voleva e dei colleghi che non sopportava.
E allora? Poteva andarsene, certo. Come no? Il mutuo, le bollette, il dentista per Federico, la palestra per Renata. Aveva convinto Renata, all’ultimo minuto, a non insistere per un viaggio durante le ferie estive, perché aveva paura di non farcela. Lei ne aveva fatto una scenata. Solo un mese prima aveva comprato un divano di pelle da 4.000 euro, senza consultarlo. Se l’avesse fatta lui, una cosa del genere… aveva i brividi solo a pensarci. E intanto però i quattromila doveva trovarli lui.
Così ogni nuovo conto era un chiodo in più, piantato sulla bara di quel che era diventata la sua vita. Si sprofondava un poco ogni giorno –non tanto, quel che bastava perchè, in breve tempo, risalire diventasse prima difficile e poi impossibile.
Simone si guardò intorno. Quanti erano come lui, incastrati e senza possibilità di fuga? Molti, forse tutti. Eppure sorridevano. Qualcuno lo avrebbe chiamato coraggio contro le avversità. Simone li detestava ancora di più.
Sospirò. In momenti come quello si malediceva per aver smesso di fumare.
«Dov’è Federico?» chiese Renata, risvegliandosi dal suo torpore.
«A mare, col materassino»
«Lo stai controllando?»
«Certo»
«Ah, ho parlato con Giorgia ieri. Lei e Enrico vanno in Sardegna, fra un paio di settimane» disse Renata. Si fermò un attimo, poi lo guardò. «Mi ha chiesto se volevamo andare con loro»
«Tesoro, ne abbiamo già parlato. Lo sai che adesso non è il momento migliore…»
«Per te non è mai il momento migliore» disse lei, girandosi su un fianco e rimettendosi le cuffie.
Le gioie del matrimonio, pensò Simone. Queste cose non te le dicono, quando vai all’altare. Colpa di quei maledetti film americani.
Era fatta. Sapeva che lei sarebbe rimasta arrabbiata con lui tutto il giorno. Ancora una volta Simone si sentì colpevole di qualcosa, senza sapere bene cosa.
Tornò al suo sole e ai suoi pensieri da ulcera. Pensò a Iacopo, il tizio che aveva preso quella promozione ed era diventato il suo capo. Mai visto qualcuno così poco qualificato, così pigro, così sprezzante in quel pur ragguardevole panorama umano che era il suo posto di lavoro, ma Iacopo li batteva davvero tutti. Quella promozione, per Simone, sarebbe stata la vacanza, il mutuo, la macchina –tutte cose che in fondo non voleva, ma non era questo l’importante.
Tutte cose che Renata voleva, ed era quello che contava.
Per questo odiava Iacopo.
No. Per questo odiava se stesso.
Federico arrivò bagnato.
«Dov’è il materassino?» gli chiese Renata.
«E’ troppo pesante per me. Fallo portare a papà»
Adesso non mi parlano nemmeno più direttamente, pensò Simone Paduli. Le gioie di avere una famiglia.
«Vai a prendere il materassino, prima che se lo porta via la corrente» disse Renata a Simone, con un tono che lasciava capire che comunque era ancora arrabbiata con lui.
Simone Paduli si alzò senza dire niente e andò verso il mare. Nonostante il caldo, non aveva alcuna intenzione di fare il bagno. Il materassino però si stava allontanando dalla riva. Simone mise un piede nell’acqua. Dio, non gliene fregava niente di quel cazzo di materassino. Federico l’aveva usato per... quanto? Cinque minuti? Ci aveva messo più lui a gonfiarlo. Perché non poteva lasciarlo alla corrente?
Si girò indietro, vide Renata che da lontano lo controllava, quindi mise anche l’altro piede a mollo. L’acqua era fredda. Prese un grande respiro e si tuffò. Era tutto un brivido, ma in qualche modo non era una sensazione troppo spiacevole. Sembrò anzi svegliarlo un poco. Riemerse e vide che il materassino si continuava ad allontanare, così cominciò a nuotare verso di esso. Più nuotava più il materassino schizzava via veloce, spinto da correnti beffarde.
Alla fine lo raggiunse. Stanco, ci si aggrappò con le braccia, appoggiando la testa sulla tela. Era piacevole stare così. Decise di riposarsi un attimo in quel modo. Chiuse gli occhi, co metà corpo sospeso in acqua. Si sentiva meglio, molto meglio. Li riaprì, e capì anche perché: non c’era nessuno intorno, nessuna voce, nessuno. Era un black-out temporaneo che apprezzò molto. Si rese però conto che si era allontanato molto dalla riva.
Ancora aggrappato per metà al materassino, con le sole gambe in acqua, cominciò a nuotare verso la riva. Era molto faticoso perché la corrente era forte, e il materassino pesante. La sensazione piacevole svanì. Ricominciò a sudare.
Mentre sbatteva le gambe in acqua gli venne in mente che Iacopo lo aspettava in ufficio il giorno dopo, con le sue storie stupide e i suoi modi arroganti. Subito dopo pensò a Renata che lo aspettava lì sull’asciugamano, arrabbiata perché non guadagnava abbastanza, perché non era bravo abbastanza. La sua faccia rabbiosa si unì a quelle della gente della spiaggia, volti deformati dalle preoccupazioni, dalle sconfitte, dalle necessità per niente necessarie, vittime pronte a diventare carnefici in un’istante. Mille pensieri vorticavano nella testa di Simone Paduli. Cose da fare, scadenze, pagamenti, rate. Gestire i rapporti all’ufficio, e tornare sano a casa. Gestire i rapporti a casa, e tornare sano all’ufficio.
Si fermò per riposarsi un attimo. Questo materassino è enorme, pensò Simone. Decisamente troppo per Federico. Ah già, anche Federico. Simone salì sul materassino per intero e si sdraiò. La tela era gradevole al tatto, e le onde muovevano piano il materassino in su e in giù. Il sole gli arrivava addosso, senza essere più troppo caldo.
Tornò la sensazione piacevole di prima, stavolta ancora più forte. Sapeva che si stava allontanando velocemente dalla riva, e non gliene importava niente. Mise una mano in acqua. La corrente lo portava via velocemente. Guardò il cielo per un attimo, poi chiuse gli occhi.
Marco Zangari © 2008
www.marcozangari.it
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