lunedì 23 gennaio 2017
"L'età della febbre" - Autori Vari
È stato un periodo disordinato, frammentato, con spazi ristretti e scatti di corsa. Per questo, l’unica lettura possibile sono stati i racconti, da masticare tra una fuga e un ritorno, in attesa, tirando il fiato.
La Minimum Fax è una delle mie case editrici preferite, con una cura e una ricerca nei suoi prodotti che creano un risultato spesso di qualità. Per questo mi sono fidato nella lettura dell’antologia “L’età della febbre”, che riuniva tutte le voci più innovative e importanti under 40 (fa un po’ strano pensare che ci rientrerò solo per pochissimi anni ancora). Il tema dell’antologia era, inevitabilmente (ma non banalmente) questo tempo di crisi, di cambiamento veloce e difficile da catalogare, di sovra-informazione, precarietà, distacco e amore a ore. Colpevolmente, avevo solo sentito parlare di alcuni di questi autori, forse di Raimo avevo letto qualcosa, quindi ero curioso di poterli vedere finalmente all’opera.
Il risultato, personalmente, non è dei più convincenti.
I racconti di questa raccolta hanno sicuramente grande inventiva, sfociando spesso in sperimentalismi molto azzardati, più o meno riusciti, fino al fumetto di Manuele Fior (molto interessante, ma difficilmente fruibile sul lettore ebook, come spesso capita con i fumetti). Ci sono trovate bizzarre come in “Il prodotto interno lordo” di G. Zucco, dove una madre legge il futuro tramite gli scarti intestinali del figlio (che forse ci voglia dire qualcosa sui tempi di merda che viviamo?). Ognuno degli autori ha una sua voce, un suo stile, il che è da apprezzare, ma il risultato finale mi lascia perplesso. Come se questa crisi fosse troppo ovvia, e bisognasse allora trovare una via alternativa per parlarne. Così facendo, però, a mio giudizio, ci si è allontanati troppo dal soggetto, finendo per perdersi lungo la strada. Lo schifo e l’incertezza che ci circondano davano materiale più che a sufficienza, senza bisogno di girarci troppo intorno. E questo ho notato nella raccolta: un bel gioco di gambe, anche abile a tratti, ma quando si trattava di far partire il gancio decisivo, ci si fermava a riflettere, dissimulare, ripetere, confondere. Paradossalmente, il racconto che più si è avvicinato al suo soggetto –e l’unico che mi ha permesso una qualche identificazione- è stato “Alta marea” di Emmanuela Carbè, che, pur immaginando una Roma distopica del futuro con una burocratizzazione invasiva e un destino già deciso, riesce comunque a parlare di questo tempo in maniera molto riuscita.
Gli altri racconti mi sono sembrati, chi più chi meno, esercizi di stile su un palcoscenico che non lascia troppi segni una volta che è stato tirato giù il sipario. Non brutti, nemmeno scritti male, e alcuni hanno abbastanza humour e abbastanza innovazione. Il problema è che la forma racconto –che permette di raccontare storie, di giocare con esse, di creare sensazioni brevi e intense- non è stata sfruttata come avrebbe potuto. Un buon tentativo, ma se c’è una finestra accanto, forse è il caso di guardarci attraverso.
A volte basta questo.
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