Non ho passato ogni minuto della mia vita in quel bar. Sono andato nel mondo, ho lavorato e ho fallito, mi sono innamorato, ho fatto lo scemo, ho sofferto per amore e ho compreso i miei limiti. Ma il bar di Steve è stato l’anello di congiunzione di ogni rito di passaggio con quello precedente e successivo, e di tutte le persone che ho conosciuto.
Il libro di J.R. (o JR) Moehringer è uno di quelli che ho preso per il titolo che sembrava promettere molto –specie ad uno come me. Dopo aver finito “Il bar delle grandi speranze” (edizioni Piemme), posso dire che le promesse non sono state disattese. Certo, il senso comune vorrebbe che non ci fidassimo troppo delle promesse di un assiduo frequentatore di bar. A me, invece, sembrano tra le più sicure. Solo chi conosce il fondo e la vetta può avere un senso della prospettiva, e riuscire ad essere sognatore e realista allo stesso tempo.
Gli stessi bar sono stati visti spesso come luoghi di saggezza e formazione, un po’ come quando si dice che insegna più la strada che la scuola. E sicuramente il bar di Steve è il protagonista indiscusso di questo libro, che è anche uno dei racconti autobiografici più onesti e meno indulgenti che potete trovare in giro. Moehringer non si nasconde dietro le morbide scuse che la parola scritta può creare, non lascia fuori niente. Possiamo vederlo crescere, pagina dopo pagina, passando da un ragazzino che vive con la madre e la sua improbabile famiglia, ad appassionato frequentatore del “Publicans”, il bar dove lavora l’adorato zio, attorno al quale gravitano personaggi variegati, profondi folli pazzi, sempre pronti a ditribuire perle di saggezza e storielle sconce tra un bicchiere e l’altro. Moehringer, cresciuto senza il padre e ossessionato da questa mancanza, sembra finalmente aver trovato nel bar tutte le figure paterne che aveva sempre desiderato. Ognuno, da Cager a Bob il Poliziotto, lo prende sotto la propria ala, gli insegna qualcosa e gli impartisce una lezione non scritta, come se ne trovano solo nel “mondo degli uomini”.
La vita di J.R. (o JR) sembra procedere attraverso due dimensioni parallele: il mondo dentro il bar, e quello fuori. Nonostante l’ammissione a Yale e l’incontro con Sidney, una ragazza di cui J.R. si innamora perdutamente, la vita fuori sembra costellata di errori, fallimenti, rinunce. Ogni qualvolta la vita mostra gli artigli, J.R. decide di rifugiarsi nell’altro suo mondo, quello del bar, dove sa di poter sempre trovare facce familiari, sostegno, risate e sbronze colossali. Pian piano, mentre le cose sembrano precipitare, il bar assume sempre più importanza per J.R., fino al punto che tutto il suo mondo sembra finire tra quelle quattro mura, e casa è solo un posto dove andare a smaltire la sbornia, in attesa di quella successiva.
A questa famiglia acquisita si contrapporrà sempre quella reale, costituita dalla madre, una donna che J.R. vede forte, coraggiosa, cristallina anche quando mente spudoratamente –ma sempre per il bene del figlio. Sarà la madre ad essere fondamentale nell’ultima, importante rivelazione che il bar regalerà a J.R.
La prosa di Moehringer è ben costruita, accattivante, a tratti brillante. Si ride e qualche volta si piange, nel suo bar. La sensazione più bella è quella di uno scrittore che è profondamente e completamente innamorato del suo soggetto. Leggendo si avverte quanto questo libro deve essergli cresciuto dentro negli anni di bevute, e quanto dev’essere stato importante per lui metterlo su carta. É una celebrazione di un tempo e di una filosofia di gruppo che forse non esiste più (e non a caso alla fine troviamo anche l’11 settembre), e ai quali Moheringer si accosta con nostalgia, cedendo qui e lì alla tentazione di “esagerare” i suoi personaggi, ma di quell’esagerazione che viene da un grande amore, e per questo si può perdonare. Moehringer scrive con tale rispetto e affetto dei suoi personaggi che più volte, durante la lettura, vi sembrerà di trovarvi anche voi lì seduti al Publicans, a mangiare i panini di Puzzolo, ascoltare le storie dello zio Charlie o fare una rissa con Joey D.
É raro trovare un autore che riesca a rendere giustizia a qualcosa a cui tiene tanto, e a trascinare anche il lettore in questo suo amore. Pagina dopo pagina, vi verrà un solletico in fondo alla gola per indicare la voglia di una birra fredda, e poi anche un sorriso sul volto perchè sapete anche voi quanto è confortante, ogni tanto, avere un bar ideale dove nascondersi e aspettare che passi la tempesta. Un luogo dentro, per ricominciare a sperare anche sul fuori.
Nascondetevi per un po’ con questo libro. Non ve ne pentirete.
Consigliato a:
chi è davanti a scelte difficili e non sa come affrontarle; chi invece si sente fermo, e ha bisogno di ripartire; chi desidera un libro che si faccia leggere, e che faccia dimenticare e sorridere per il tempo di un drink.
martedì 27 gennaio 2015
giovedì 15 gennaio 2015
Dopo la festa
Quando tutti sono andati via
-la musica più bassa, lenta
i bicchieri rovesciati, il disordine-
ti siedi, finalmente
lo sguardo che fissa tutto e
niente
stanchezza alle gambe
pensieri che scivolano e
vengono tagliati in due
dalla luna
anche il drink che stai bevendo
ha un sapore diverso
da quello della festa
-e lo bevi anche
per motivi diversi
Quando tutti sono andati via
realizzi che non tutti sono andati
-molti hanno lasciato all’inizio
altri a metà
quando le cose si facevano
interessanti
alcuni avevano promesso di venire
ma poi avevano avuto da fare
altri ancora ti aspettano
fuori-
ma non tutti sono andati
e tra il fumo li vedi, li riconosci
-anche se sbronzi persi
lo sai che sono lì-
e insieme siamo immersi
in questa quiete rumorosa
le orecchie che fischiano
uno strano senso di mancanza
di aspettative tradite
-ma la festa è passata
in un modo o nell’altro
nostro malgrado
nonostante tutto-
-la stanza sembra derubata, senza più musica
alta o folla
eppure solo ora
sembriamo vederla davvero
-bottiglie vuote, telefoni che non
squillano più
i ricordi della festa
che sono sempre di quando facevi il cretino
e quasi mai
di baci e sorrisi
Eppure tutto è diverso
se sei rimasto
con quelli giusti
E se sei abbastanza fortunato
trovi ancora qualcuno, tra quelli rimasti
per un ultimo ballo
sudato, folle, intenso
come fosse il primo
prima che anche questo finisca
e il buio
il buio
inghiotta anche
la
notte.
Marco Zangari © 2015
-la musica più bassa, lenta
i bicchieri rovesciati, il disordine-
ti siedi, finalmente
lo sguardo che fissa tutto e
niente
stanchezza alle gambe
pensieri che scivolano e
vengono tagliati in due
dalla luna
anche il drink che stai bevendo
ha un sapore diverso
da quello della festa
-e lo bevi anche
per motivi diversi
Quando tutti sono andati via
realizzi che non tutti sono andati
-molti hanno lasciato all’inizio
altri a metà
quando le cose si facevano
interessanti
alcuni avevano promesso di venire
ma poi avevano avuto da fare
altri ancora ti aspettano
fuori-
ma non tutti sono andati
e tra il fumo li vedi, li riconosci
-anche se sbronzi persi
lo sai che sono lì-
e insieme siamo immersi
in questa quiete rumorosa
le orecchie che fischiano
uno strano senso di mancanza
di aspettative tradite
-ma la festa è passata
in un modo o nell’altro
nostro malgrado
nonostante tutto-
-la stanza sembra derubata, senza più musica
alta o folla
eppure solo ora
sembriamo vederla davvero
-bottiglie vuote, telefoni che non
squillano più
i ricordi della festa
che sono sempre di quando facevi il cretino
e quasi mai
di baci e sorrisi
Eppure tutto è diverso
se sei rimasto
con quelli giusti
E se sei abbastanza fortunato
trovi ancora qualcuno, tra quelli rimasti
per un ultimo ballo
sudato, folle, intenso
come fosse il primo
prima che anche questo finisca
e il buio
il buio
inghiotta anche
la
notte.
Marco Zangari © 2015
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