I vialetti sono puliti, ordinati. Le arance sono ancora tutte sugli alberi. Le zanzare che le mangiavano sono morte.
Ci sono delle panchine, un bidone della spazzatura. Una fontana asciutta. È quasi il tramonto.
Poi entri nei reparti. Puzza di piscio, di vomito, di chiuso. Di marcio. Di merda. Di dolore.
A confronto, il paesaggio autunnale là fuori ti sembra un paradiso.
In generale, l’ultimo posto sulla terra dove ti verrebbe in mente di passarci il Natale.
Eppure c’è gente che ce lo passa. E già che c’è ci passa anche la Pasqua, l’estate e il compleanno.
E San Valentino, anche se molti di loro non lo sanno.
In gruppo, dici loro che non è così male. Che la vita continua, anche in un posto del genere. Che non devono badare troppo al cibo, alla puzza, al freddo e al caldo, alle botte, alle medicine, all’ambiente in generale. Che c’è modo di vivere anche lì dentro.
La polizia è tutta ospitale, ti saluta con grandi sorrisi, e alcuni trattano i detenuti come gli amici di tutta una vita.
I detenuti si raccontano, con storie spesso strazianti. Ti parlano, ti chiedono. Anche loro vogliono essere tuoi amici. Ti si sono affidati, si sono aperti con te come nessun altro. Ti vogliono bene come ad un fratello. Sono pronti a ricominciare. Mai più, mai più. Tu sei quello che solo li potrà aiutare.
Tu conforti, spieghi, aiuti. Parli per ore. C’è tutto un mondo che vi aspetta lì fuori, dici. Tutto procede a meraviglia di là, dici. E’ pieno di opportunità. Il futuro vi aspetta. Vale la pena essere sani per un mondo del genere, dici. Tutti vi aspettano. La vita non è mica finita. Gli altri sono fuori a braccia aperte e vi hanno sempre nelle loro preghiere.
Così la prima cosa che impari è che qui si fonda tutto sulla bugia.
Li osservi. Padri di famiglia, studenti, analfabeti, lavoratori, persone semplici, gente che vedi tutti i giorni sull’autobus, negli uffici, perfino in chiesa. Spesso le cose procedevano come per tutti. Una vita normale, a volte noiosetta.
Ed ecco che ti arriva il terremoto. Chissà, forse il terremoto arriva per tutti. Alcuni magari lo sanno contenere.
Loro non ci sono riusciti.
Comincia a fare scuro. Vediamo il crepuscolo a scacchi, attraverso le sbarre.
E quell’uomo accanto è abbastanza grande da essere tuo padre. Un altro potrebbe essere tuo nonno. Un altro ancora così giovane da sembrare un fratello minore.
Un altro ancora, potresti essere tu.
Tendono a non parlare di come stanno, loro. Nemmeno le loro famiglie ne vogliono parlare. È un grande segreto.
E anche a te hanno insegnato, là fuori, che prima viene il corpo e poi tutto il resto. Che spendere centinaia di euro per uno specialista per la prostata, il fegato, le palle, la gola, lo stomaco, gli occhi, i reni, ha senso. Che correre dal dottore per ogni colpo di tosse, è più che accettabile. Che basta che c’è la salute, poi chi se ne frega.
Mente sana in corpo sano, sì. Il corpo comanda. I dottori, la nonna, gli altri, tutto ce lo dice. I serial televisivi parlano di uomini che possono o no salvare dalla morte, che possono donare di nuovo la vita, con un bisturi e delle paroline difficili. Con i loro effetti speciali. Le loro inquadrature. Le loro facce tragiche.
Nessuno però dice come la devi vivere, quella vita.
E se non lo sai?
Qua dentro ci sono persone dal fisico sano. Alcuni muscolosi. Altri meno. Non c’è niente che non vada nel loro corpo. Mangiano, bevono, defecano. Tutto regolare.
Ma non sono qui per un’ulcera o per le emorroidi. Nemmeno per il cancro, se è per questo.
Qualcosa non andava nella mente.
Un attimo, un mese, una vita. È lo stesso.
La seconda cosa che impari qui, è che i pensieri comandano e il corpo è l’eterno secondo.
Uomini enormi che piangono per quel loro pensiero. Mariti in salute che ripensano a “cose brutte”. Fidanzati che non hanno più nessuno ad aspettarli.
Gente intrappolata nei loro pensieri, prima ancora che dalle sbarre.
È sera ormai, là fuori.
Tu parli ancora, anche dopo che hai finito le parole. Ma lo senti. Senti che è sera per tutti, per te per loro per i poliziotti. Perchè quando fa buio, da queste parti, fa buio sul serio.
Saluti, allora. Cerchi di risollevare gli animi. Fai una battuta. Dài pacche leggere sulle spalle. Non t’importa nemmeno cosa abbia fatto la persona che hai di fronte.
Sai che è una persona, e questo ti basta.
Stringi loro le mani. Lasci che ritornino alle loro celle sovraffollate, agli stupri sotto la doccia, alla prostituzione per due sigarette.
Il futuro vi aspetta. Oh sì.
Saluti i poliziotti. Loro ricambiano. Il sorriso è sempre lo stesso.
Nel cortile autunnale si allungano le ombre, e sembrano non finire mai. Nella quiete innaturale di quel giardino disabitato senti un urlo che ghiaccia le vene. Magari è solo qualcuno che ha bisogno di sigarette. Magari no.
Ti chiedi persino se è un urlo umano, tanto è terribile e risuona nell’aria. Te lo chiedi, mentre passi al metal detector, mentre ritiri i tuoi effetti personali. Te lo chiedi ancora mentre stai tornando alla tua macchina, e lo fai senza voltarti mai, senza pensarci mai.
Cerchi di concentrarti sulla cena, su quello che c’è da fare a casa.
Perchè la terza cosa che impari è che la libertà non è scontata. La libertà è una gran bella cosa, quando c’è, quando la sai apprezzare.
Quando te la sai creare.
Perchè te la possono togliere. Perchè te la puoi togliere tu stesso. Te la possono togliere i tuoi pensieri.
Che duri un’ora o una vita, non c’è niente di meglio dell’essere liberi.
E lì dentro, alla fine, ci trovi tutto.
Metti la freccia. Ora di fare la spesa.
Libertà è anche questo.
E ne sei grato.